Negli ultimi anni del secolo iniziò il decollo industriale
italiano, preparato, negli anni precedenti, dalla costruzione
di una rete ferroviaria, dalla scelta protezionistica, dal riordinamento
del sistema bancario. Lo sviluppo industriale, se non ridusse
il divario con i paesi più ricchi, provocò però
un aumento del reddito e un miglioramento del tenore di vita degli
italiani; si accentuava però il divario tra Nord e Sud.
Il governo Giolitti (1903-1914) si caratterizzò per alcune
importanti riforme sociali e per la neutralità nel campo
dei conflitti di lavoro. Leggi speciali per il Mezzogiorno, statizzazione
delle ferrovie, conversione della rendita, introduzione del suffragio
universale maschile (1912), monopolio statale delle assicurazioni
sulla vita, rappresentarono i punti qualificanti della politica
di Giolitti. Il suo riformismo non era privo di limiti, per il
condizionamento delle forze conservatrici e per la sua costante
attenzione a non modificare in senso eccessivamente democratico
gli equilibri parlamentari; inoltre, la crisi economica del 1907
accrebbe, da un lato, le lotte sociali mentre, dall'altro, favorì
un atteggiamento più duro delle associazioni padronali.
A partire dal 1896, anno della caduta di Crispi, la politica
estera italiana subì una netta correzione di rotta. Il
miglioramento dei rapporti con la Francia, portò, nel 1898,
alla firma di un nuovo trattato di commercio che poneva fine alla
"guerra doganale" e a un accordo per la divisione delle
sfere di influenza in Africa settentrionale (1902), con cui l'Italia
otteneva il diritto di priorità sulla Libia.
Questo provocò dei contrasti con le potenze della Triplice
Alleanza, soprattutto dopo l'annessione, da parte dell'Austria-Ungheria,
della Bosnia-Erzegovina. Ciò suscitò in Italia un
clima di riscossa nazionale, dove la riscoperta delle rivendicazioni
irredentiste si mescolò alle richieste di una più
energica affermazione in campo coloniale.
In questo clima politico e culturale potè sorgere e
affermarsi un movimento nazionalista che, raccoltosi in un primo
tempo attorno a riviste e a circoli intellettuali, si diede una
struttura organizzativa alla fine del 1910 con la fondazione dell'Associazione
nazionalistica Italiana. Tale associazione diede vita a una campagna
in favore della conquista della Libia, favorita dall'appoggio
dei gruppi cattolico-moderati, che ne esaltavano le presunte ricchezze
naturali e gli sbocchi che essa avrebbe potuto offrire all'emigrazione.
Quando apparve chiaro che la Francia si apprestava a imporre il
suo protettorato in Marocco, il governo italiano ritenne giunto
il momento di far valere gli accordi del 1902 e, nel settembre
del 1911, inviò sulle coste libiche un contingente di 35.000
uomini, scontrandosi però con la reazione dell'Impero turco,
che esercitava su quei territori una sovranità poco più
che nominale.
La guerra fu più lunga e difficile del previsto, anche
perchè i turchi, preferirono fomentare la guerriglia condotta
con decisione delle popolazioni arabe. L'Italia dovette quindi,
non solo rinforzare il corpo di spedizione, ma estendere il teatro
di guerra al Mar Egeo, occupando l'isola di Rodi e l'arcipelago
del Dodecanneso.
Solo nell'ottobre 1912 i turchi acconsentirono a firmare la Pace
di Losanna, rinunciando alla sovranità politica sulla Libia;
la pace non valse a far cessare la resistenza araba, da ciò
gli italiani trassero pretesto per mantenere l'occupazione di
Rodi e del Dodecanneso.
Dal punto di vista economico, poi, la conquista della Libia
si rivelò un pessimo affare. I costi della guerra furono
molto pesanti; le ricchezze naturali favoleggiate dai nazionalisti
si scoprirono scarse o inesistenti; la colonizzazione nelle zone
costiere non bastò ad assorbire quote consistenti di lavoratori.
Nonostante ciò, il paese seguì l'impresa con spirito
ben diverso da quello con cui aveva seguito le avventure africane
di Crispi. Non mancarono gli oppositori decisi: i socialisti,
una parte dei repubblicani e dei radicali, alcuni intellettuali
indipendenti. Ma la maggioranza dell'opinione pubblica borghese
si schierò a favore dell'impresa coloniale, la appoggiò
con manifestazioni patriottiche, accolse con soddisfazione il
fatto che l'Italia fosse riuscita a condurre in porto la sua prima
campagna militare vittoriosa.
La guerra di Libia, scosse pericolosamente gli equilibri su
cui si reggeva il sistema giolittiano e favorì il rafforzamento
delle ali estreme (la destra liberale e il versante socialista),
indebolendo le correnti riformiste e collaborazioniste che avevano
costituito fin allora un elemento non secondario degli equilibri
politici giolittiani.