Il fascismo

I problemi del dopoguerra erano aggravati, in Italia, dalla debolezza delle strutture democratiche e dalla crisi della classe dirigente liberale. I cattolici si organizzarono politicamente con il Partito Popolare (1919). A sinistra, la crescita del Partito Socialista corrispondeva ad una prevalenza, in esso, delle correnti rivoluzionarie.

La nascita del Fascismo (1919) introdusse nella vita politica un nuovo stile aggressivo e violento. Sul piano interno, il '19-20 fu una fase di acute agitazioni sociali. Le elezioni del novembre '19, tenute col sistema proporzionale, decretarono il successo di socialisti e popolari. Nel giugno 1920 Giolitti tornò al potere con un programma molto avanzato, tuttavia il disegno giolittiano di ridimensionare le spinte rivoluzionarie del Psi attraverso un'apertura riformista fallì e accentuò le divisioni all'interno del movimento socialista.

Al congresso socialista di Livorno del gennaio '21, la corrente di Sinistra guidata da Bordiga e Gramsci si scisse dal Psi e fondò il Partito Comunista.

Tra la fine del '20 e l'inizio del '21 il fascismo, abbandonando gli originari caratteri radicaldemocratici, si qualificò decisamente in senso antisocialista. Le azioni squadristiche colpirono sedi ed esponenti del movimento operaio e contadino del Centro-Nord, in particolare le leghe rosse nella Valle Padana. L'inserimento dei "blocchi nazionali" (elezioni del maggio 1921) diede al fascismo una completa legittimazione.

Mentre trattava con i principali leader liberali per una partecipazione al governo, Mussolini lasciò che le milizie fasciste si preparassero per un colpo di Stato. Il successo della Marcia su Roma (28 ottobre '22) fu reso possibile solo dal rifiuto del re a firmare lo stato d'assedio. Una volta al potere, Mussolini attuò una politica autoritaria contro il movimento operaio e creò nuovi istituti (il Gran consiglio del Fascismo e la Milizia) incompatibili con i princìpi liberali.
Oltre all'appoggio di liberali e cattolici, Mussolini poteva valersi di quello del potere economico, nonchè del sostegno della Chiesa.

Un ulteriore rafforzamento il fascismo ottenne con le elezioni del '24, tenute secondo la nuova legge maggioritaria: da esse le opposizioni uscirono notevolmente dimensionate. Il deputato socialista Matteotti, che aveva denunciato alla Camera i brogli e le violenze commesse dai fascisti in occasione delle elezioni, fu assassinato da un gruppo di squadristi. Tra il '25-26 si consumò la fine dello Stato liberale: "fascistizzazione" della stampa, persecuzione degli antifascisti, rafforzamento dei poteri del capo del governo, legge "per la difesa dello Stato" (che, tra l'altro istituiva il Tribunale speciale), scioglimento di tutti i partiti (tranne quello fascista).

Un primo limite ai propositi totalitari del regime fascista era rappresentato dal peso della Chiesa, la cui influenza venne espressamente riconosciuta coi Patti Lateranensi (1929). Altro limite ai propositi totalitari era costituito dalla presenza del re quale massima autorità dello Stato. Negli anni del fascismo, la società italiana restava notevolmente arretrata: il fascismo riuscì a ottenere il consenso della piccola e media borghesia, ma solo in misura limitata e superficialmente quello dell'alta borghesia e delle classi popolari.
Il regime cercò in modo particolare di esercitare uno stretto controllo nell'ambito della scuola e della cultura. Soprattutto si impegnò nel campo dei mezzi di comunicazione di massa, essendo consapevole della loro importanza ai fini del consenso. La radio e il cinema furono, così, sia strumenti di propaganda sia mezzi di semplice intrattenimento.

Sul piano della politica economica, si passò nel '25 da una linea liberista ad una protezionistica e di maggior intervento statale. La "battaglia del grano" doveva servire al raggiungimento dell'autosufficienza cerealicola; la rivalutazione della lira ("quota novanta") aveva il compito di dare al paese un'immagine di stabilità monetaria. Di fronte alla crisi del '29, il regime reagì attraverso una politica di lavori pubblici e di intervento diretto dello Stato in campo industriale e bancario.

Superata la crisi, il fascismo indirizzò l'economia verso la produzione bellica. L'aggressione all'Etiopia (1935) mutò bruscamente la posizione internazionale del regime. L'impresa vide l'adesione della maggioranza dell'opinione pubblica, ma rappresentò anche una rottura con le potenze democratiche. Questa rottura fu accentuata dall'intervento nella guerra civile in Spagna e dal ravvicinamento alla Germania (Patto d'acciaio, 1939), che si rivelò infine una subordinazione alle scelte di Hitler.

In Italia la maggioranza di antifascisti, soprattutto ex popolari e liberali, rimasero in una posizione di silenziosa opposizione. I comunisti invece si impegnarono, con scarsi risultati, nell'agitazione clandestina; sulla stessa linea si mosse il gruppo di "Giustizia e Libertà", di indirizzo liberal-socialista. Gli altri gruppi di esilio all'estero svolsero un'opera di elaborazione politica in vista di una sconfitta del regime che l'antifascismo non era in grado di provocare.

Nonostante questa debolezza, l'importanza dell'antifascismo risiedette nella funzione di testimonianza e di preparazione dei quadri e delle piattaforme politiche della futura Italia democratica. Il consenso ottenuto dal regime cominciò a incrinarsi dopo l'impresa etiopica. La politica dell' "autarchia", finalizzata all'obiettivo dell'autosufficienza economica in caso di guerra, ottenne solo parziali successi e suscitò un diffuso malcontento. L'avvicinamento alla Germania e la politica discriminatoria nei confronti degli ebrei suscitarono timori e dissensi nella maggioranza della popolazione.